Peggy Guggenheim
- Locandina Peggy Guggenheim
- Peggy Guggenheim. Donna allo specchio
- Peggy Guggenheim. Donna allo specchio
- Peggy Guggenheim. Donna allo specchio
- Peggy Guggenheim. Donna allo specchio
- Peggy Guggenheim. Donna allo specchio
di LANIE ROBERTSON
un progetto di e con FIORELLA RUBINO
regia ALESSANDRO MAGGI
coproduzione FONDAZIONE CAMPANIA DEI FESTIVAL – NAPOLI TEATRO FESTIVAL ITALIA, ENFI TEATRO
Progetto finanziato con PAC Campania 2013-2014
Prima assoluta
Paese Italia
Lingua Italiano
durata: 1h 20m
Luogo Teatro Nuovo di Napoli, http://www.teatronuovonapoli.it/
Date
14/06/2014 ore 21:00
15/06/2014 ore 21:30
Figlia di Benjamin Guggenheim – vittima del Titanic – e nipote di Solomon Guggenheim (fondatore del museo di New York) Peggy diviene presto collezionista e amante d’arte contemporanea. Il testo è ambientato a Venezia nella sua abitazione – Palazzo Venier dei Leoni, sul Canal Grande – durante la metà degli anni ’60.
«Peggy – afferma il regista – ricorda i momenti salienti della sua incredibile vita, dipingendo un bellissimo ritratto di un’Europa a cavallo della seconda guerra mondiale.
Entriamo nel mondo di Peggy, un universo che mescola passione per la vita a spietata concretezza nelle relazioni, in un vibrante porsi continuamente in rapporto con il conflitto interno e le contraddizioni di un essere umano teso per indole a entrare nella storia. In una Venezia che odora per tutta la pièce della presenza necessaria degli artisti scoperti, usati e protetti da una grande e, per certi versi, spietata Mecenate dell’arte contemporanea, lo spettacolo è un grido a difesa di uno slancio verso la creazione artistica che ha all’origine risvolti pieni di un’umanità generalmente ignorata. In tal senso, si approda a un racconto che diviene anche visione, cruda, intensa, urgente, evocazione di un mondo la cui esistenza si rivela necessità, contro il fiorire di istanze sempre più lontane dall’alimentarsi di quel tumultuoso godimento cerebro-carnale rappresentato dall’arte. A questo pianoforte di colori che è la vita di Peggy (Mecenate, affarista, moglie, madre, amante, intenditrice per istinto e per vocazione) si addice la mescolanza di presenze altre da sé, come quella della amata figlia Pegeen; ma anche di visioni, di suoni che sono musica: in sintesi è quell’interazione di arti che è la vita».
Note di regia, di Alessandro Maggi
Ho accolto con autentico entusiasmo la sollecitazione a trasporre scenicamente “Donna allo specchio”, per la particolare originalità della proposta, che rientra in un sempre più forte desiderio di Fiorella Rubino di dar vita a progetti che vertano su figure femminili di enorme caratura che si sono imposte all’attenzione del mondo per rimanere nella storia quali veri e propri modelli di eccellenza e irripetibilità.
Sono rimasto subito colpito dalla drammaturgia di Lanie Robertson, in primis per le molteplici sfaccettature che, in ognuna delle quattro parti in cui è suddiviso il testo, mostra di questa personalità unica: è un pianoforte di colori, mescolanza di forza e fragilità, di straordinaria passione e imbarazzante lucidità. Ma è anche il racconto di un’esistenza che è prova di una spinta alla vita che è premessa senza condizioni per il raggiungimento di straordinari e lungimiranti obiettivi. Un personaggio non comune, indubbiamente, da alcuni anche criticato per le sue eccentricità e per le sue contraddizioni. Ma quel che via via è emerso nel corso del lavoro di approfondimento del testo è un senso di libertà totale che finisce inevitabilmente per porsi come una davvero significativa scoperta. È in primo luogo la libertà dell’artista cui viene permesso di creare il suo percorso di splendida utopia. In questo sta il genio estroso di un personaggio che intuisce (e soltanto questo basterebbe a renderla unica) l’importanza di “…salvare e preservare un’Arte che era la risposta alla follia di un Mondo precipitato nel caos”. Riferendosi a Pollock, Peggy racconta con le parole di Robertson: “L’ho pagato per metter via la scopa e per dipingere. Gli ho commissionato un lavoro così grande che l’ha liberato di tutti quei mostriciattoli arrabbiati che vedi pigiati nei suoi precedenti quadri. Ho fatto in modo che aprisse la sua immaginazione, ho liberato il suo potenziale così che quella creatività rinchiusa potesse emergere.”
E la libertà diviene anche quella di osare anche contro il giudizio di molti, parrebbe dirci Robertson, in uno dei passaggi che reputo fortemente esplicativi, in tal senso:
“A Parigi nel 1940, ho pregato il Louvre di nascondere la mia collezione dai Nazisti che stavano distruggendo tutta l’arte moderna, e un uomo venne alla mia casa di Ile St.-Louis, guardò la mia collezione e disse, “Je suis desolé, madame, Non c’è niente che valga la pena di salvare”, disse. E io spezzai le cornici arrotolai le tele e me le infilai nelle valigie, imbottii le sculture dentro casse, tra pentole e padelle vi scrissi su “articoli casalinghi” e li feci partire di nascosto per il sud della Francia e poi in America.”
È anche libertà di costumi, un bisogno continuo di fagocitare sensazioni di carnalità che solo un occhio superficiale vedrebbe come semplici appetiti da soddisfare, al punto che mi è parso più intellettualmente onesto porre in evidenza più la fame di vita connessa ai rapporti di Peggy con i vari artisti raccontati, piuttosto che sfociare in una interpretazione più facilmente maliziosa tout court. Nel descrivere la grande statua equestre di Marino Marini (L’angelo della Città), Peggy la racconta come “…un uomo giovane e virile a cavallo che saluta il mondo e la vita – con le braccia stese così. E il suo fallo, grosso ed eretto, pieno di joie d’vivre (…)”.
È arte viva: tutto ha origine da questo concetto, così sinteticamente espresso da Samuel Beckett alla domanda di Peggy sul perché avrebbe dovuto cominciare a comprare arte moderna.
Ognuna della quattro sezioni drammaturgiche in cui Robertson suddivide il testo diviene sintesi esemplare di altrettanti paradigmi della multicolore personalità di Peggy. La stravaganza variegata che si mescola alla memoria dei prodromi della grande avventura esistenziale della Guggenheim nella prima parte; la complessità di una madre con le sue contraddizioni nel rapporto con la figlia Pegeen nella seconda; la strategica donna d’affari mai scevra da una passione irrefrenabile per la sua autentica ragione di vita – l’arte – (pur nel dramma della perdita della figlia Pegeen) nella terza; l’astrazione sospesa, irreale, concettuale e tuttavia commovente della parte finale. Ognuna di queste parti disvela un denominatore comune che costituisce un messaggio senza tempo, quella necessaria missione di consegnare la sua collezione (i suoi bambini, come Peggy chiama le sculture e i quadri riuniti a Palazzo Venier dei leoni) al futuro. Quel sogno di non alterarne l’essenza totale, che si sostanzia nel lascito di un’eredità (è l’ossessione di individuare a chi affidare “…la (sua) vita. La (sua) vita intera”) che rimanga in quella Venezia che (e lo desideriamo davvero) la conservi per l’eternità..
Ho invitato Marta Crisolini Malatesta a pensare una scenografia essenziale, in cui gli esterni e gli interni si formano anche con proiezioni lontane dal figurativo, segni visuali connotanti che sottolineano le varie parti della drammaturgia. Tre pareti, con due porte girevoli nelle pareti lucide laterali, che trasformano gli ambienti con mobili che mutano nelle varie possibilità di composizione dei singoli pezzi.
I costumi, sempre di Marta Crisolini Malatesta, sviluppano l’evoluzione drammaturgica della personalità di Peggy, con note di eccentricità che non varcano mai la misura oltre il limite dell’improbabile. Per Pegeen si è scelto di evidenziare l’insicurezza e la fragilità mentale attraverso un costume che la connotasse nella sua attività di pittrice di quadri che celano, nelle sue classiche immagini a metà tra il naif e il fauve, il suo dramma interiore.
Le musiche di Pierluigi Pietroniro citano il tempo di riferimento, anche localizzandolo geograficamente a seconda del passaggio drammaturgico, con rielaborazioni originali di brani e atmosfere del tempo di riferimento.
Le luci di Gaetano Napoletano sagomano lo spazio scenico secondo una scansione del tempo che evidenzia i momenti cromatici di una giornata (le quattro parti di Robertson si dipanano lungo un arco di tempo che procede dal 1963 al 1968, da una tarda mattinata del 1963 a una sera del 1968) che si dipana attraverso le quattro parti, da una mattina solare a un tramonto tendente a notte di fortissima suggestione sospensiva.
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